Pittore sfortunato o/e maledetto? Un talento sicuramente incompreso per la sua epoca. Michelangelo Merisi, conosciuto meglio come Caravaggio, è stato un grande pittore vissuto tra la seconda metà del ‘500 e l’inizio del ‘600, un innovatore e “rivoluzionare” (soprattutto di carattere) nel mondo dell’arte, osando senza aver paura del giudizio del pubblico o del committente. Vedremo insieme la vita, le opere, i suoi sostenitori e perché è stato difficlmente “apprezzato” come artista all’epoca, soprattutto in ambito religioso.
Buona visione e grazie!
Caravaggio, l’inizio
M. Merisi (a volte trascritto in alcuni documenti come Merigi, Amerighi o Merighi) è nato a Milano nel 1571 ed è morto a Porto Ercole nel 1610. Soprannominato Caravaggio dal paese d’origine della famiglia, è stato allievo di Simone Peterzano, pittore manierista bergamasco attivo a Milano tra il 1573 e il 1596. Nel 1571, sicuramente qualche mese prima della nascita del pittore, i genitori si trasferiscono a Milano, forse per lavoro. Però, nel 1577, la famiglia torna a Caravaggio per fuggire dalla peste. Il giovane Michelangelo vive le sue prime sfortune: muoiono, per primo, il padre Fermo, poi il nonno Bernardino e infine lo zio Pietro a causa della malattia.
Caravaggio, il primo contratto di lavoro
Finita l’epidemia, a soli 13 anni, il giovane artista torna a Milano dove lavora appunto nella bottega del maestro Peterzano. Il 6 aprile 1584, la madre di Michelangelo firma un contratto di lavoro di 4 anni a nome del figlio per poco più di 40 scudi d’oro. Secondo Giulio Mancini, medico e collezionista d’arte circa 12 anni più grande del pittore, la madre dell’artista morì a Milano il 29 novembre 1590. Circa due anni dopo, il giovane Michelangelo lascia definitivamente Milano (si pensa per motivi di “discordie”) per recarsi a Roma.
Le opere in età giovanile del Caravaggio
I quadri dell’età giovanile sono, per la maggior parte, di tipo poetico, allegorico, religioso come il Riposo nella fuga in Egitto e la Maddalena (Roma, Galleria Doria Pamphilj) o di “genere”, così li chiamavano all’epoca, come il Bacco (Firenze, Uffizi), il Bacchino (Roma, Galleria Borghese), il Ragazzo con canestro di frutta (ivi), la Buona ventura (Parigi, Louvre), il Concerto (New York, Metropolitan Museum) o ancora il Canestro di frutta (Milano, Pinacoteca Ambrosiana). L’uso dello sfondo scuro e di forti contrasti, effetto tipico delle opere nell’età adulta, non è ancora evidente in quel periodo (tranne in alcune opere ma non ha lo stesso effetto). In effetti, le sue opere, oltre ad essere ancora abbastanza piccole (non più di 1,50 m per la lunghezza massima) sono più raffinate e dall’atmosfera più serena.
Caravaggio a Roma: le sue prime conoscenze
Michelangelo Merisi arriva a Roma più o meno nel 1592. Una data certa della sua presenza a Roma è il 1594, anno in cui il monsignor Pandolfo Pucci da Recanati (soprannominato da M. Merisi “monsignor Insalata”, per via dell’unico alimento che gli forniva) lo ospita per alcuni mesi. Secondo fonti storiche, l’artista dipingerà varie copie di devozione e ritratti.
L’amicizia con Mario Minniti
Intorno al 1593, M. Merisi conosce il famoso pittore messinese Lorenzo Carli il quale ha una bottega in via della Scrofa. Caravaggio vi troverà lavoro e soggiorno per un periodo. Nella bottega conoscerà anche il pittore siciliano Mario Minniti arrivato, più o meno, nello stesso periodo a Roma. I due giovani artisti stringono amicizia e quest ultimo diventerà il modello di Michelangelo in alcuni dei suoi quadri. In seguito, Michelangelo conosce Antiveduto Gramatica, pittore proto-barocco italiano. Poi frequenta, per alcuni mesi, la bottega del pittore Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, uno dei maggiori esponenti del tardo manierismo.
In questo quadro, il modello è, appunto, Mario Minniti che ritroveremo anche in altre opere come la Buona ventura, I bari, il Concerto, il Suonatore di liuto, il Bacco, il Ragazzo morso da un ramarro, la Vocazione e il Martirio di san Matteo.
In quest’opera invece, Michelangelo si è ritratto come Bacco.
I Bari è un quadro che il cardinal Francesco Maria del Monte ha acquistato mentre ospitava Caravaggio a casa sua. L’opera rimase nella collezione del cardinal del Monte fino al 1627, anno in cui il cardinale Antonio Barberini lo acquistò.
L’amicizia con il cardinal Del Monte
Nel 1597, grazie ad un suo amico pittore Costantino Spata, conosce un personaggio che cambierà la sua vita per un periodo: il cardinale Francesco Maria del Monte, grande uomo di cultura e appassionato di arte per il quale entrerà in suo servizio per circa tre anni. Secondo alcuni fonti storiche, il cardinale del Monte “ridusse in buono stato Michele e lo sollevò dandogli luogo onorato in casa fra i gentiluomini”. Da quel momento in poi, il successo del pittore lombardo cresce sempre di più nell’ambiente della nobiltà romana e i suoi quadri sono al centro di accese polemiche a causa della loro rivoluzionaria pittura.
Grazie alle commissioni del cardinale, Caravaggio cambia il proprio stile pittorico, abbandonando le teli di piccole dimensioni per dedicarsi a opere più complesse e quindi più grandi come il Riposo durante la fuga in Egitto.
Il breve ricovero in ospedale
Mentre era ricoverato nell’ospedale della Consolazione, secondo Giulio Mancini, biografo e contemporaneo del pittore, Caravaggio dipinge una serie di quadri per il priore, di cui una prima versione de Il sacrificio di Isacco.
Altre importanti commissioni
Nel 1598, il banchiere genovese Ottavio Costa commissiona al pittore l’opera Marta e Maria Maddalena.
Vari critici d’arte hanno attribuito questo secondo ritratto di Maffeo Barberini al pittore Scipione Pulzone. Però, nel 2010, Gianni Papi e lo storico dell’arte statunitense Keith Christiansen sostengono che l’opera sia di Michelangelo Merisi. Infatti, secondo Giulio Mancini, un contemporaneo di Caravaggio, il pittore avrebbe dipinto il soggetto in questione diverse volte.
Caravaggio, l’età adulta: le opere più famose a Roma
Nel 1602, il banchiere Ottavio Costa commissiona all’artista l’opera Giuditta e Oloferne e, nel 1604, il San Giovanni Battista.
Nel 2014, a Tolosa, è stata ritrovata un’opera molto simile a quella di Giuditta e Oloferne. In effetti, si tratterebbe della seconda versione del quadro di Caravaggio ma nessun esperto ha mai confermato la sua autenticità. I due capolavori sono simili sia per composizione, pose dei personaggi e giochi di luce.
Nel 1605, Camillo Borghese, con il nome di Papa Paolo V, commissiona a Michelangelo il proprio ritratto. Gli storci hanno ancora oggi molti dubbi sull’autenticità dell’opera perché né il Baglione né il Mancini (due contemporanei di Caravaggio), parlano di questa opera nei loro scritti.
San Luigi dei Francesi: Cappella Contarelli
Nel 1599, grazie al cardinal del Monte, arriva la sua prima e una delle sue più importanti commissioni: tre enormi tele che rappresentano la vita di San Matteo. Le opere saranno collocate nella cappella Contarelli nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, a Roma.
Santa Maria in Vallicella
Nel 1602, Girolamo Vittrice commissiona a Michelangelo la Deposizione. Il committente aveva previsto di collocare l’opera nella cappella dedicata alla Pietà nella chiesa di Santa Maria in Vallicella.
La Conversione di San Paolo (collezione Odescalchi)
Nel settembre del 1600, Monsignore Tiberio Cerasi commissiona a Caravaggio la Conversione di San Paolo e la Crocifissione di San Pietro (oggi scomparsa) che lo stesso Cerasi aveva previsto di collocare nella cappella (cappella Cerasi appunto) che aveva acquistato nella chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma. Prima che il pittore potesse concludere l’incarico, il Cerasi muore nel 1601 e così l’opera non è mai stata collocata nella cappella Cerasi. L’ospedale della Consolazione, beneficiario dell’eredità del Cerasi, gli paga comunque le due opere, anche se ad un prezzo minore rispetto a quello stabilito all’inizio. In seguito ad un nuovo accordo con gli eredi del Cerasi, Caravaggio realizza una seconda versione di entrambi i dipinti, ancora oggi nella cappella Cerasi della chiesa di Santa Maria del Popolo, però su tela e non su tavola di cipresso come le prime due versioni.
Basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio
Il lungo viaggio delle opere
Le due opere originali (cioè la prima versione di entrambe le opere) passano, nel corso degli anni, in mano a vari proprietari. Le acquista prima di tutti il cardinale Giacomo Sannesio. In seguito, le venderà entrambe allo spagnolo Giovanni Alfonso Enriquez de Cabrera, nono Almirante di Castiglia e viceré di Sicilia e di Napoli fino al 1646, che le portò con sé a Madrid nel 1647. Successivamente, è il nobile genovese Agostino Ayrolo ad acquistare soltanto la Conversione di San Paolo che, a sua volta, venderà al cognato Francesco Maria Balbi. Infine, per via ereditaria, l’opera finisce nella raccolta della principessa Vittoria Odescalchi-Balbi di Piovera, ancora oggi in possesso del capolavoro.
Palermo: Oratorio di San Lorenzo
Nel 1600, il commerciante Fabio Nuti, in relazione con l’oratorio di San Lorenzo, commissiona al pittore la Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, che poi spedisce a Palermo.
Nella notte tra il 17 e 18 ottobre 1969, la mafia siciliana avrebbe ordinato il furto dell’opera, presente all’epoca nell’oratorio di San Lorenzo a Palermo, posta sull’altare maggiore. Nel corso degli anni, varie teorie e confessioni sono uscite fuori grazie a varie indagini ma ancora oggi non si conosce la verità e l’opera non è mai stata ritrovata. Si dice che sarebbe stata venduta a pezzi sul mercato clandestino; venduta e nascosta all’estero, in Svizzera per una grossa somma di denaro; oppure nascosta e dopo essersi deteriorata sarebbe stata distrutta…
L’evento ha ispirato vari autori nella creazione di opere.
Secondo l’FBI, il valore dell’opera si aggira intorno ai venti milioni di dollari ed è stata inserita nella lista mondiale dei dieci capolavori rubati più importanti.
Basilica di Santa Maria del Popolo: Cappella Cerasi
Nelle opere della cappella Contarelli e quelle nella cappella Cerasi sono quelle che meglio rappresentano lo stile di Caravaggio. Il pittore studiava e dipingeva molto dal vero e questa caratteristica è una di quelle opposte allo stile accademico.
Egli usava rappresentare la “realtà”, così com’è. Figure idealizzate (soprattutto per le figure sante), per il pittore lombardo, non esistono ed è per questo che la sua arte provoca, all’epoca, un grande scandalo. L’uso forte della luce che contrasta lo sfondo scuro è metafora di grazia divina.
I suoi dipinti sono molto potenti perché sono “reali”, rappresentano la realtà, con figure umane e non più divine come se per l’artista si potesse raggiungere il divino solo attraverso la realtà.
Il rifiuto dei Carmelitani
Nel 1601, Laerzio Cherubini commissiona a Caravaggio la Morte della Vergine da collocare nella propria cappella nella Chiesa di Santa Maria della Scala a Roma. Oltre a non essere riuscito a rispettare la scadenza del contratto, il pittore vede la sua opera rifiutata a causa della sua scandalosa rappresentazione della Vergine. Vari elementi come le caviglie scoperte, e la pancia gonfia hanno provocato uno scandalo all’epoca, Si dice anche che l’artista abbia scelto una prostituta morta nel Tevere come modella per la Vergine.
Nonostante il rifiuto della tela, il duca di Mantova acquista il quadro di Caravaggio. Successivamente, è il re d’Inghilterra Carlo I ad interessarsene. Dopo la morte di quest’ultimo, un banchiere parigino acquista l’opera, che poi porterà alla corte di Luigi XIV, andando a riempire la collezione del Louvre.
(Maddalena addolorata, Michelangelo Merisi, olio su tela, 112 x 92 cm, Italia, Roma, collezione privata, 1605-1606.
E’ un’opera che riprende la figura della ragazza seduta in primo piano nell’opera La morte della Vergine. L’opera è apparsa in pubblico durante la mostra ” I tesori nascosti” a cura di Vittorio Sgarbi nel 2017.)
Le commissioni e la collezione di Giustiniani
Il 28 novembre 1600, durante il soggiorno presso il Palazzo Madama, dimora del Cardinal del Monte, il pittore picchia con un bastone il nobile Girolamo Stampa, che lo denuncia. Non è stata (e non sarà) la prima né l’ultima rissa alla quale Caravaggio partecipa. Le carceri di Tor di Nona l’hanno spesso “accolto” a causa dei suoi numerosi problemi con la giustizia.
Nel 1600, riceve un incarico dal marchese Vincenzio Giustiniani, banchiere, intellettuale e collezionista d’arte (di numerose opere di Caravaggio appunto) per la realizzazione de L’incredulità di San Tommaso. Dall’Inventario Giustiniani del 1638, sappiamo che l’opera si trovava “nella Stanza Grande de Quadri Antichi…un quadro sopraporto di mezze figure con l’Historia di San Tomasso che tocca il Costato di Christo col dito depito in tela alto pal. 5 larg.pal 6 di mano di Michelangelo da Caravaggio con cornice negra profilata e rabescata d’oro“.
Nel 1601, dopo un’ennesima condanna, l’artista esce dal carcere e comincia a lavorare sul dipinto Amor Vincit Omnia che il marchese paga ben 300 scudi.
Vincenzo Giustiniani collezionava anche numerose opere del pittore tra cui l’Incoronazione di spine.
Le commissioni di Mattei
Nel 1601-1602, Caravaggio vive nell’abitazione della famiglia Mattei, dove dipinge le due opere del San Giovanni Battista e La Cena di Emmaus. Il banchiere Ciriaco Mattei gli commissiona infatti i due quadri per festeggiare il compleanno del figlio maggiorenne per una somma complessiva di 235 scudi.
Nel 1603, il banchiere Mattei consegna di nuovo una somma di 125 scudi per La Cattura di Cristo.
Nel 1603, Giovanni Baglione, pittore e biografo di artisti, denuncia sia Caravaggio sia i suoi seguaci Orazio Gentileschi e Onorio Longhi per diffamazione. Infatti essi avrebbero scritto rime offensive nei suoi confronti.
Nel corso dell’anno 1604, le forze dell’ordine arrestano diverso volte l’artista per possesso d’armi e ingiurie alle guardie cittadine.
Nel 1605, la situazione si fa più grave. Il pittore deve scappare per circa tre settimane a Genova per aver ferito il notaio Mariano Pasqualone di Accumoli, a causa di Lena, amante e modella di Caravaggio.
La commissione di Massimo Massimi
Una nota autografa di Caravaggio attesta:
“Io Michel Ang.lo Merisi da Caravaggio mi obbligo di pingere al Ill.mo S [Ignor] Massimo Massimi p [er] esserne statto pagato un quadro di valore e grandezza come quello ch’io gli feci già della Incoronatione di Crixto p [er] il primo di Agosto 1605. In fede ò scritto e sottoscritto di mia mano questa questo dì 25 Giunio 1605. Io Michel Ang.lo Merisi”.
La fuga da Roma
Nel 1605, la Arciconfraternita dei Parafrenieri Pontifici, attraverso l’interessamento del cardinal Ascanio Colonna, commissiona a Caravaggio La Madonna dei Parafrenieri. In origine, l’opera doveva sostituire un vecchio dipinto nell’altare della nuova basilica di San Pietro. L’opera rimane lì solo per pochi giorni per poi essere trasferita nella chiesa di Sant’Anna dei Palafrenieri.
Nel 1605, il cardinale Pietro Aldobrandini commissiona a Caravaggio l’opera San Francesco in meditazione (San Francesco con il teschio) che lo stesso cardinale donerà, nel 1609, alla chiesa di San Pietro a Carpineto Romano.
Caravaggio, ormai fuggiasco, sentiva la necessità di offrire in dono al Monsignor Benedetto Ala, che era all’epoca il governatore di Roma, il San Francesco in meditazione, una sorta di “atto di pentimento” da parte dell’artista. Questo dipinto rappresenterebbe uno degli autoritratti del pittore.
Sarà però nel 1606, anno in cui Michelangelo uccide Ranuccio Tomassoni da Terni a causa di una calda discussione (conclusa in modo tragico appunto) su un fallo al gioco della pallacorda (una specie di tennis all’epoca), che l’artista fugge da Roma. La sua pena era la decapitazione che chiunque poteva eseguire. Sarà il principe Filippo I Colonna ad aiutarlo a fuggire, offrendogli asilo nei suoi feudi di Palestrina, Zagarolo, Colonna e Paliano. Per la famiglia Colonna, Caravaggio dipinge un’altra versione de La cena di Emmaus, oggi conservata nella Pinacoteca di Brera e, forse, sempre per la stessa famiglia, la Maria Maddalena in estasi.
Caravaggio, da Roma a Napoli
Alla fine del 1606, Michelangelo arriva a Napoli, nei Quartieri Spagnoli, dove la famiglia Colonna-Carafa lo ospita per circa un anno. La Congregazione del Pio Monte commissiona a Michelangelo Merisi le Sette Opere di Misericordia, uno dei lavori più importanti della sua carriera artistica. I committenti pagano l’opera 400 ducati.
Nel 1607, l’artista dipinge una seconda versione di Giuditta e Oloferne (forse quella ritrovata appunta a Tolosa);
una prima versione della Flagellazione di Cristo;
una prima versione di David con la testa di Golia;
La crocefissione di sant’Andrea (commissionato da don Juan Pimentel y Herrera, conte di Benavente, viceré di Napoli dal 1603 al 1610);
La madonna del Rosario, oggi conservato in Austria;
una seconda versione de La flagellazione di Cristo;
(Le due opere Sette Opere di Misericordia e la Flagellazione di Cristo sono le uniche, tra tutte le opere dipinte a Napoli, rimaste in città).
Caravaggio, da Napoli a Malta
Nel 1607, il pittore parte per Malta, dove entra in contatto con il gran maestro dell’ordine dei cavalieri di san Giovanni, Alof de Wignacourt, al quale realizzerà anche un ritratto. Il suo scopo era quello di diventare cavaliere per evitare la condanna a morte che pendeva ancora su di lui.
Tra il 1607 e il 1608, Michelangelo dipinge il Giovanni Battista alla sorgente. L’opera è molto danneggiata e non si è sicuri dell’autenticità dell’opera al Merisi.
Nel 1608, l’artista dipinge la Decollazione di San Giovanni Battista commissionato dalla Compagnia della Misericordia.
Cavaliere di Grazia
Il 14 luglio 1608, dopo un anno di noviziato, ottiene finalmente la nomina di “Cavaliere di Grazia” ma il suo carattere non cambia. Infatti, dopo pochi mesi, il pittore si ritrova protagonista di una rissa con un cavaliere con un rango superiore. Così perde la sua nomina di cavaliere e viene espulso dall’ordine dei “Cavalieri di Grazie”.
Nel 1608, Ippolito Malaspina, uno degli alti funzionari dello Stato monastico dei Cavalieri di Malta, commissiona a Caravaggio il San Girolamo scrivente. Nel 1984, il quadro è stato rubato e poi ritrovato quattro anni dopo.
Caravaggio, il ritorno in Italia: Siracusa
A Siracusa, lo ospita il suo vecchio amico Mario Minniti, conosciuto durante i suoi primi anni a Roma. Durante questo breve periodo, Michelangelo dipinge per la Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, una pala d’altare raffigurante il Seppellimento di santa Lucia.
Spostandosi poi a Messina, il ricco mercante genovese Giovanni Battista de’ Lazzari commissiona a Caravaggio, nel 1609, La resurrezione di Lazzaro.
Subito dopo, il pittore riceve un altro incarico dal Senato della Città di Messina, quello di realizzare, per la chiesa di Santa Maria della Concezione, una pala d’altare: L’adorazione dei pastori. In cambio, il Senato promette al pittore di pagarlo ben mille scudi!
E’ stato probabilmente il duca di Lorena a commissionare L’annunciazione al pittore nel 1609.
Caravaggio, il ritorno a Napoli
Nel 1609, Caravaggio torna a Napoli. Verso la fine dell’estate, degli uomini al soldo del suo nemico maltese, lo attaccano davanti all’Osteria del Cerriglio e rimane così gravemente ferito. Per sfuggire ai suoi sicari, il pittore si rifugia nel palazzo Carafa Colonna di via Chiaia.
In quel periodo, dipinge probabilmente Salomè con la testa del Battista;
un’altra versione di Salomè con la testa del Battista;
la Negazione di San Pietro;
una delle tante versioni del San Giovanni Battista;
Davide con la testa di Golia, secondo degli studi, la testa di Golia sarebbe un autoritratto del pittore;
e, infine, il suo ultimo lavoro, Il martirio di Sant’Orsola, commissionato dal banchiere genovese Marcantonio Doria, mentre il pittore era in viaggio verso Porto Ercole.
Il gesto di Lanfranco Massa
Nel 1610, l’artista dipinge quest’opera con molta fretta a tal punto che il Merisi non ha potuto aspettare che il dipinto si asciugasse per consegnarlo. Così, con il ritrovamento, nell’archivio Doria D’Angri, di una lettera scritta a Napoli il 1º maggio 1610 da Lanfranco Massa, cittadino genovese e procuratore nella capitale partenopea della famiglia Doria, per velocizzare i tempi di asciugatura, lo stesso Massa la espone al sole! “Pensavo di mandarle il quadro di Sant’ Orzola questa settimana però per assicurarmi di mandarlo ben asciuttato, lo posi al sole, che più presto ha fatto revenir la vernice che asciugatole per darcela il Caravaggio assai grossa: voglio di nuovo esser da detto Caravaggio per pigliar suo parere come si ha da fare perché non si guasti“.
Caravaggio, gli ultimi giorni
Michelangelo Merisi aveva concordato, insieme al cardinale Scipione Borghese, il “prezzo” per la sua definitiva libertà (dalla condanna a morte che il Papa Paolo V gli aveva inflitto nel 1606). Il pittore poteva ottenere il perdono offrendo al cardinale tre opere: la Maria Maddalena in estasi, il San Giovanni Battista e il San Giovanni Battista disteso. Gli studi sulla storia del pittore ci hanno ormai convinti che la sua morte è avvenuta a Porto Ercole, in Toscana, a causa di una malattia. Dopo aver preso una feluca da Napoli, con le tre opere che doveva consegnare, l’artista scende una prima volta a Palo laziale, dove viene rinchiuso nella fortezza. Non potendo aspettare, la barca continua il suo viaggio verso la Toscana. Una volta liberato, Michelangelo sarebbe risalito su una feluca per andare a Porto Ercole e cercare di recuperare le tele mentre la prima barca tornava verso Napoli insieme ai dipinti. Ma una teoria contraddice questa versione.
E’ stata Mina Gregori, allieva di Roberto Longhi (famoso critico e storico dell’arte), ad aver ritrovato questo dipinto e ad averlo attribuito a Caravaggio. Dietro l’opera c’era un foglietto con grafia seicentesca che recita:
“Madalena reversa di Caravaggio a Chiaia ivi da servare pel beneficio del Cardinale Borghese di Roma”.
La versione di Pacelli
Recenti studi dell’esperto napoletano Vincenzo Pacelli, supportati da documenti dell’archivio di Stato e dell’Archivio Vaticano, insieme ad un team di 18 studiosi, confermano, che la morte di Caravaggio è avvenuta nel Lazio a Palo (a pochi chilometri di Civitavecchia, porto di Roma all’epoca). Secondo gli studiosi, “l’Ordine di Malta, per l’offesa arrecata a un potente cavaliere, con il tacito assenso della Curia romana”, avrebbe organizzato l’assassinio dell’artista. In alcuni documenti, Giulio Mancini, contemporaneo e medico di Caravaggio, scrive che la morte del pittore è avvenuta a Civitavecchia.