L’autoritratto è un tema che esiste da molti secoli. Nel Medioevo, per firmare un’opera, l’artista ritraeva nelle sue opere un volto che rappresentava se stesso ma non esattamente con i propri tratti semplicemente perché il suo riconoscimento si poteva verificare dalla tecnica usata, dagli strumenti che usava (incisi, scolpiti o dipinti nell’opera stessa) o da iscrizioni che indicavano il suo nome. L’autoritratto ha subito nel corso dei secoli diversi stili e raggiunge la sua massima espressione nel Rinascimento con il cosiddetto autoritratto “autonomo”.
Van Gogh e l’autoritratto
Gli autoritratti dell’artista riflettono una vita segnata da travagli e drammi interiori. Molto incerto per quanto riguarda la strada da scegliere per la sua vita, sarà a 27 anni che deciderà di fare definitivamente l’artista. Nel 1886, dall’Olanda si trasferisce in Francia, a Parigi, dove frequenta gli impressionisti e altri pittori. Scopre così nuovi colori per le sue tele ma il suo carattere tormentato gli impedisce di stringere “normali” relazioni sociali. Nel 1888 parte ad Arles dove scopre il sole del sud della Francia e le sue campagne. L’autoritratto nell’arte di Van Gogh è da considerarsi, forse più di qualsiasi altro artista, come espressione del suo stato interiore. Infatti, nei suoi dipinti egli non cercava di rappresentare in modo perfetto il proprio volto. La sua ricerca era molto più profonda, un po’ come mettere a nudo la sua personalità, il suo stato mentale.
I primi autoritratti di Van Gogh sono molto scuri di tonalità e trasmettono un’atmosfera inquietante. La tecnica pittorica non è ancora quella rappresentativa dell’artista ma è ancora presente un’impronta abbastanza realistica.
In questo autoritratto invece, sempre molto realistico, si cominciano a intravedere le famose pennellate che caratterizzano il famoso stile pittorico di Van Gogh.
1887: il legame con l’arte giapponese
Alla fine del XIX secolo, con l’importazione del tè dal Giappone, l’arte giapponese comincia piano piano a diffondersi in Europa. Qual’è il legame tra il tè e l’arte del pittore mi direte?! E’ semplice: il tè veniva impacchettato in sacchi di iuta e come carta d’imballo venivano spesso utilizzate stampe malriuscite a colori o prove di stampa della scuola di pittura Ukiyo-e. Ovviamente queste opere non potevano non capitare nelle mani di artisti europei. In qualche modo è così che l’artista viene a conoscenza dell’arte giapponese. Questo incontro con l’arte dell’estremo oriente influenzò molto il modo di dipingere di alcuni pittori, tra questi Van Gogh. Questa influenza però non è subito evidente nei suoi autoritratti (ma in altre opere, sì). Successivamente, nei due ritratti con il bendaggio del 1889, si potrà notare una grande differenza.
Piano piano i colori cominciano ad apparire sempre di più sulle sue tele alternando le tonalità sullo sfondo.
E’ forse in questo quadro che si vedono le prime pennellate che differenziano il suo stile particolare. Lo sfondo ancora abbozzato verrà piano piano più “curato” dall’artista dando così più armonia ma anche movimento alle opere.
Autoritratti nell’estate 1887
In questo dipinto possiamo notare già le pennellate che renderà la sua pittura famosa e tipica dell’artista.
Tra tutti i suoi autoritratti, pochissimi sono quelli frontali, circa tre. La maggior parte sono di trequarti, sicuramente una scelta precisa dell’artista.
Verso la fine dell’anno 1887
Le opere della fine dell’anno 1887 sono particolarmente forti. Il segno potente della sua pittura trasmette una forte emozione e, avolte, una strana atmosfera.
In questo dipinto sembra che l’artista voglia quasi cancellare la sua umanità e rendere inespressivo il suo sguardo. L’intera opera è divisa in volumi e zone da un gioco di linee e acquisisce così maggiore sintesi avvicinandosi all’astrattismo. Visto il gran numero di autoritratti, si presume che il pittore abbia sperimentato anche vari stili di pittura.
I dipinti del 1888
Alcuni di questi quadri invernali fanno sicuramente parte dell’anno 1887 ma, non avendo una data precisa, li ho classificati in questo modo.
L’influenza dell’arte giapponese nell’autoritratto
Nelle due opere con il bendaggio, possiamo notare l’avvicinamento che l’artista ha avuto con l’arte giapponese attraverso la linea di contorno e l’appiattimento della figura, soprattutto nei vestiti. La prova di questo interesse per l’arte orientale è quella stampa giapponese appesa alle sue spalle.
L’incidente
La storia dell’automutilazione non è mai stata chiarita del tutto. Una cosa sembra ormai sicura: grazie alla ricercatrice Bernadette Murphy sappiamo che l’artista ha dato il suo orecchio ad una ragazza, di nome Gabrielle, che faceva la cameriera e non ad una prostituta di nome Rachel, come si è sempre pensato. Un disegno del 18 agosto 1930, del dottore Felix Réy, medico che curò V. Van Gogh, è stato ritrovato negli archivi dello scrittore Irving Stone. Egli si era recato dallo stesso dottore per raccogliere informazioni sulla vita dell’artista e scriverne così la biografia. Dopo questo quadro l’artista si è sempre ritratto dal lato in cui si vedeva l’altro orecchio.
Gli autoritratti dopo l’incidente
Dopo l’incidente, che gli causò la perdita dell’orecchio destro, l’artista si rappresenterà sempre dalla stessa angolazione, appunto per non mostrare la parte destra.
Questo dipinto è considerato come quello migliore tra tutti quelli realizzati dall’artista. A proposito di questa opera, Van Gogh scriverà al fratello Théo: “Noterai come l’espressione del mio viso sia più calma, sebbene a me pare che lo sguardo sia più instabile di prima”.
L’autoritratto: altri artisti famosi
Raffaello, Annibale Carracci, Gian Lorenzo Bernini, Artemisia Gentileschi, Luigi Crespi, Eugène Delacroix, Gustave Courbet, Giovanni Fattori, Paul Gauguin: tutti grandi artisti autori di autoritratti!